DEFINIZIONE E CENNI STORICI
L’Omotossicologia è una concezione innovativa dell’omeopatia, con un suo proprio corpus teorico e metodologico e una sua caratteristica strategia terapeutica. L’etimologia del termine omotossicologia, o omeopatia antiomotossica, significa: studio degli effetti delle tossine sull’Uomo e relativo trattamento omeopatico.
Per l’omotossicologia lo stato di salute è interpretato come omeostasi dinamica, la malattia è valutata come espressione della lotta fisiologica dell’organismo che tende ad eliminare quelle “omo-tossine” (o stressors) endogene ed esogene che hanno superato la soglia di allarme.
L’Omotossicologia si presenta sulla scena medica in Germania negli anni ’30-’40, grazie all’opera del Dr. Hans Heinrich Reckeweg, esperto clinico, appassionato omeopata e ottimo musicista (grazie alla musica si mantiene all’università). Sono gli anni in cui Biochimica e Immunologia assurgono al ruolo di protagoniste della Medicina contemporanea, ed è proprio alla luce di queste due discipline che Reckeweg si sforza di interpretare i fondamenti hahnemanniani.
Alcuni hanno definito l’Omotossicologia “Omeopatia del 2000”, altri vi hanno visto il punto d’incontro tra il geniale empirismo di Hahnemann, l’affascinante filosofia medica orientale e il severo scientismo occidentale, imperniato sulla più rigida sperimentazione.
In estrema sintesi, l’Omotossicologia, pur affondando le sue radici nell’Omeopatia classica, volge lo sguardo alla Fisiopatologia e a questa si rifà in sede di diagnosi, tornando però ad avvalersi di sostanze preparate secondo i canoni della farmacopea omeopatica in sede di terapia.
Proprio nella farmacologia sta uno dei risvolti più brillanti dell’intuizione di Reckeweg: accanto ai rimedi omeopatici classici egli introduce una serie di principi farmacologici ‘nuovi’, frutto dell’interpretazione biochimica e immunologica delle malattie (che nel frattempo non sono più le stesse dei tempi di Hahnemann); ecco comparire nuovi ceppi nosodici, che vanno al di là dei nosodi diatesici di Hahnemann, ecco i catalizzatori intermedi del ciclo di Krebs, gli organoterapici suis, gli allopatici omeopatizzati, la rivoluzionaria classe dei preparati composti: questi ultimi concepiti come un’associazione di rimedi il cui principio guida è sintetizzabile in tre parole: sinergismo-complementarietà-completezza d’azione (principio di Burgi).
Qualunque organismo è continuamente attraversato da un’enorme quantità di tossine esogene (batteri, virus, tossine alimentari, fattori di inquinamento ambientale, ecc.) ed endogene (prodotti intermedi dei diversi metabolismi, cataboliti finali, ecc.).
In accordo alla teoria di von Bertanlanffy, secondo cui l’organismo è un sistema di flusso in equilibrio dinamico, se l’omotossina non è particolarmente virulenta e se i sistemi emuntoriali sono efficienti, essa attraversa l’organismo-sistema di flusso senza determinare alcuna interferenza nella sua omeostasi, che resterà pertanto nella condizione di equilibrio, cioè di salute.
Se viceversa, o perchè la tossina è particolarmente ‘aggressiva’ o perchè i sistemi di drenaggio emuntoriale non sono sufficienti, si determina un’alterazione dell’equilibrio, che l’organismo, nella sua naturale tendenza verso il mantenimento o il ripristino della sua ‘omeostasi ristretta’ (Laborit), cercherà di compensare innescando meccanismi supplementari di tipo autodifensivo: le malattie.
Se per Hahnemann “la noxa è niente, il terreno è tutto”, e negli anni successivi, da Pasteur in poi, ci si fossilizza invece in una guerra cieca e senza esclusione di colpi al “microbo”, per Reckeweg la malattia è da interpretare come la risultante che scaturisce dall’interreazione tra noxa patogena, fattori ambientali e soprattutto reattività. Per citare il padre dell’Omotossicologia: “le malattie sono l’espressione della lotta dell’organismo contro le tossine, al fine di neutralizzarle ed espellerle; ovvero sono l’espressione della lotta che l’organismo compie per compensare i danni provocati irreversibilmente dalle tossine”.
INDICAZIONI CLINICHE, LIMITI, CONTROINDICAZIONI ED EFFETTI COLLATERALI
La terapia tende, di conseguenza, a stimolare i meccanismi di autoguarigione propri dell’organismo, incrementando la risposta immunitaria specifica di ciascun soggetto. A tale scopo vengono utilizzati farmaci omeopatici unitari a bassa, media e alta diluizione o complessi derivati sia dell’omeopatia classica che da acquisizioni farmacologiche più recenti (quali i substrati d’organo di suino, i catalizzatori intermedi, i chinoni ed i vari principi immunostimolanti).
I vantaggi terapeutici rispetto all’omeopatia classica sono:
possibilità di intervento anche nelle malattie degenerative
risultati molto veloci nelle patologie acute.
A seconda dell’entità dell’aggressione e dell’integrità del sistema difensivo autologo (che Reckeweg chiama Sistema della Grande Difesa), l’organismo manifesta quadri clinici differenti che si possono agevolmente classificare in 6 fasi.
Nella sua Tavola delle Omotossicosi (quadro sinottico che classifica le diverse patologie), Reckeweg rappresenta i vari gradi di reattività attraverso i quali l’organismo cerca di mantenere o ripristinare la sua omeostasi, il suo equilibrio, il suo stato di salute.
Si distinguono 3 fasi cosidette Umorali (le patologie funzionali sec. la Medicina Accademica) e 3 fasi cosidette Cellulari (le patologie d’organo della Medicina Accademica).
FASI UMORALI
Rappresentano situazioni patologiche in cui la prognosi è favorevole, in quanto espressioni di una buona reattività. Troviamo:
a)-la Fase di escrezione: le tossine non arrivano neanche in contatto con le cellule epiteliali delle mucose, ma vengono inglobate ed espulse con le secrezioni fisiologiche.
b)-la Fase di reazione: grazie al processo dell’infiammazione, l’organismo neutralizza prima, ed espelle poi, le tossine entrate nel sistema di flusso.
c)-la Fase di deposito: in questo stadio di malattia l’organismo, nell’intento di mantenere inalterato il suo equilibrio, accantona a livello connettivale quelle tossine che gli emuntori, in prima battuta, non sono riusciti ad espellere, e che la successiva, compensatoria, fase di reazione non è riuscita a neutralizzare.
FASI CELLULARI
Rappresentano, viceversa, situazioni patologiche in cui la prognosi non è favorevole, in quanto espressioni della scarsa reattività tipica di una alterazione lesionale. Si distinguono:
d)-la Fase di impregnazione: a partire da questa fase le tossine sono localizzabili non più a livello del mesenchima ma del parenchima; infatti esse vengono canalizzate a livello organico verso un “locus minoris resistentiae” espressione di una meiopragia costituzionale o iatrogenica. Inglobate a questo livello, in parenchimi nobili, iniziano a destrutturare la cellula attaccando per primi i suoi meccanismi enzimatici.
e)-la Fase di degenerazione: il perdurare dell’accumulo di tossine di impregnazione determina, dopo il parziale blocco enzimatico, il danno dell’organulo intracellulare, e la conseguente degenerazione dei tessuti.
f)-la Fase neoplastica: la stimolazione infiammatoria cronica della cellula può determinare la sua sdifferenziazione in cellule anomale che, anche per il contemporaneo indebolimento-sovvertimento delle difese organiche, prenderanno il sopravvento sull’intero organismo.
Grande importanza è data da Reckeweg alla fase di reazione; si può dire che l’Omotossicologia prende le mosse da una rivisitazione critica del fenomeno infiammatorio: il suo fisiologico innesco rappresenta infatti il meccanismo attraverso cui l’organismo assolve al compito di ripristino o mantenimento del suo stato di salute. Ora, se l’infiammazione è il solo sistema di difesa che possiede l’organismo; se essa è lo stesso potere immunitario che si difende; se tutto ciò è vero,è proprio corretto combatterla?
Dobbiamo considerare che farmaci altamente attivi quali antibiotici, salicilati, cortisonici, sulfamidici ecc., intervenendo bruscamente nella fase essudativa di esordio dell’infiammazione, determinano il viraggio intempestivo dalla fase acidosica (fisiologica durante lxinfiammazione) a quella alcalosica (che con sincronismo neuro-endocrino-immunologico subentra all’esaurirsi della flogosi), dalla solubilizzazione del connettivo alla sua gelificazione. Il risultato è lo stop dell’infiammazione: materiale incombusto, endotossine batteriche, cataboliti, molecole farmacologiche di sintesi, permangono così nel connettivo destrutturandone il telaio e impedendone il fisiologico successivo restauro.
La moderna Fisiologia ci ha insegnato che la fase di alcalosi è caratterizzata dalle neosintesi di molecole proteiche; se ora sul terreno sono presenti ancora molecole estranee, può verificarsi che questa intempestiva neo-sintesi porti alla formazione di proteine nelle quali gli aminoacidi si combinano anche con molecole estranee, residuo del blocco dell’infiammazione.
Si formano così polipeptidi anomali in parte self e in parte non-self.
E’ il preludio per l’innesco di una malattia da autoagressione o quantomeno per il progressivo spostarsi della patologia da fase umorale a fase cellulare (vicariazione progressiva).
Date queste premesse, appare evidente quale sia il rationale della terapia omotossicologica: non sopprimere, ma disintossicare l’organismo e riparare i danni causati dalle tossine.
I protagonisti di questo ambizioso piano terapeutico sono i farmaci omotossicologici, cioè sostanze chimiche in diluizione opportuna (per innescare l’inversione dell’effetto) che, intervenendo nelle reazioni enzimatiche (su cui agiscono da induttori), e sul sistema immunitario, possono attivare “sistemi difensivi” ancora in riserva.
Queste sostanze inducono in quanto simili (simili alla tossina causale) un meccanismo di difesa aggiuntivo contro tossine già presenti (malattia).
Enzimologicamente il meccanismo è interpretabile alla luce delle leggi della cinetica enzimatica (Michaelis-Menten su tutte), ed è suffragato sperimentalmente dai lavori di Conney e Burns (prova del metilcolantrene – da Conney A. H. Enzyme Regul., Vol. I, Oxford: Pergamon Press, 1963 -), Hauss e coll. (prova del cortisone – da Hauss, Junge-Husling, Gerlach: Le reazioni mesenchimali non soecifiche, Thieme Ed., 1968 -), Wallenfels e Weil (fosfatatasi alcalina e galattosil-glicerina – da Wallenfels e Weil, Molekularbiologie, Umschau-Verlag, 1967 -), ecc.
Immunologicamente, il meccanismo d’azione del rimedio omotossicologico è interpretabile nel senso di un incremento della risposta cellulo-mediata, ma non solo: è oggi noto che la risposta anticorpale è sì specifica verso l’antigene che l’ha innescata, ma può dirigersi anche verso qualsiasi bersaglio che abbia qualcosa di “simile” (anche solo una parte della molecola).
Nella rete complessa del sistema immunitario, il “ventaglio” anticorpale si può così allargare allo scopo di attaccare e neutralizzare antigeni non solo identici, ma anche somiglianti all’originale.
La sostanza, in quanto diluita (cioè omeopatizzata) viene immediatamente neutralizzata e tutto il nuovo apparato difensivo potrà rivolgersi contro la tossina causale.
FARMACOLOGIA OMOTOSSICOLOGICA
L’evoluzione dei rimedi omeopatici: il farmaco omotossicologico.
Reckeweg ha introdotto, accanto ai rimedi omeopatici classici (derivazione vegetale, minerale, animale) una serie di nuovi rimedi che rappresentano l’attualizzazione omeopatica dell’Immunologia e della Biochimica.
I Catalizzatori intermedi
La terapia con i fattori del ciclo di Krebs e con i chinoni omeopatizzati ha come scopo quello di inviare un impulso stimolante a quell’insieme di reazioni enzimatiche (ciclo dell’acido citrico e catena di trasporto degli elettroni) che nella cellula assolvono al fondamentale ruolo di produrre energia. Il loro utilizzo in terapia è fondamentale nei casi di patologie caratterizzate da down energetico, per esempio le cronico-degenerative.
I nosodi
Sono preparati a partire da materiale patologico (secrezioni, tessuti ammalati, colture microbiche) opportunamente sterilizzato e reso inattivo, e diluito almeno 1 parte su 100 milioni; la loro azione è ‘patogenica’ sono in grado cioè di mimare la malattia, riinnescando la reattività in termini di risposta mirata contro la noxa.
Il loro meccanismo d’azione è di tipo immunologico (sono praticamente degli antigeni): la risposta immunitaria che evocano è specifica e limitata all’agente patogeno. Rappresentano il simile eziologico così come i rimedi omeopatici classici rappresentano il simile sintomatologico della malattia.
Gli organoterapici Suis
Viene utilizzata, omeopatizzata, la proteina di maiale, in quanto la specie suina è la più simile, filogeneticamente, alla specie umana. In ragione di questa somiglianza si sviluppa uno spiccato organotropismo della proteina suis per l’omologa proteina (e quindi per il tessuto o l’organo) umana; cioè, con l’organoterapico suis si va a stimolare miratamente l’organo bersaglio. Ancora, per la quasi totale inefficacia dei sistemi di detossificazione del maiale, i suoi tessuti, e quindi le sue proteine, sono particolarmente tossiche in quanto imbibite di tossine. Si viene così a disporre di un rimedio che ha le caratteristiche di un nosode, con in più la peculiarità dell’organotropismo. Il rimedio suis, terapeuticamente, ha anche un’azione trofica sul tessuto bersaglio: lavorando sulla destrutturazione istopatologica, ‘nutre’ il tessuto degenerato.
Gli allopatici omeopatizzati
Questi preparati trovano uso in particolare nella cura delle malattie jatrogene, sulla base del noto principio isopatico secondo il quale la somministrazione del farmaco che ha indotto il danno terapeutico è di antidoto al danno jatrogeno stesso, se somministrato a una diluizione più alta.
Ma la vera innovazione nel campo della farmacologia omeopatica è senza dubbio il
Preparato Composto Omotossicologico
Esso è una composizione ideale di rimedi, è cioè una “unità terapeutica” il cui effetto globale è differente e superiore alla sommatoria degli effetti dei singoli componenti. A differenza del cosiddetto complesso alla francese, dove i rimedi sono assemblati insieme per sparare con un’ampia rosa di pallini sul bersaglio, il composto della Heel è concepito secondo uno specifico principio, il principio di Burgi, sintetizzabile in tre parole: sinergismo (i rimedi si potenziano sinergicamente fra di loro) – complementarietà (rimedi che da soli potrebbero avere un’azione troppo brutale, o al contrario essere poco efficaci, agiscono in maniera ottimale in presenza di altri rimedi che sostengono e complementarizzano la loro azione) – completezza (i rimedi sono associati in maniera da coprire tutti i possibili modi di estrinsecazione dellxalterazione patologica).
EVIDENZE SCIENTIFICHE
Storicamente, la sperimentazione omeopatica iniziò nel 1831, a seguito di un’epidemia di colera. L’Omeopatia riportò dati di decessi nell’ordine del 4% contro il 59% delle cure allopatiche. Nel 1854, durante un’altra epidemia, sempre di colera, che colpì disastrosamente Londra, la Camera dei Comuni rese noto che negli ospedali omeopatici la percentuale di decessi era del 16,4% contro il 59,2% degli ospedali convenzionali.
In tutti questi anni molto si è fatto sul piano sperimentale e con non poche difficoltà, prima di tutto di ordine metodologico: infatti la prescrizione del rimedio omeopatico si basa fondamentalmente sulla semeiotica individuale piuttosto che sulla diagnosi di malattia nosograficamente determinata; in altre parole, pazienti con la stessa malattia, ma con differenti storie anamnestiche, differenti reattività neurovegetative, differenti costituzioni, eccetera, necessiteranno di rimedi differenti. Questo stato dell’arte rende evidentemente difficilissimo poter valutare l’efficacia di un rimedio in una certa malattia, e rende ovviamente molto difficile applicare i modelli di indagine statistica riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.
Dell’enorme messe di lavori compiuti sui rimedi omeopatici, solamente 250 sono riportati nelle banche-dati internazionali come studi clinici controllati, e di questi solo un centinaio si prestano ad una valutazione obiettiva in quanto includono gruppi di controllo.
Nell’Ottobre del 1986 la prestigiosa Rivista scientifica ‘The Lancet’ pubblica i risultati di uno studio in doppio cieco contro placebo randomizzato compiuto su 144 pazienti, sull’efficacia di una miscela di pollini preparati secondo il metodo omeopatico alla 30CH. I risultati furono estremamente positivi nel senso di una significativa riduzione della sintomatologia nei pazienti trattati. Sempre The Lancet pubblica nel 1994 i risultati di un analogo trial condotto su 28 pazienti affetti da asma allergico.
Grazie a questi, ed altri lavori, l’Omeopatia comincia timidamente ad essere presa nella giusta considerazione dal consesso medico internazionale: nel 1991 The British Medical Journal pubblica una meta-analisi degli studi clinici in Omeopatia in cui rivela che 15 dei 22 trials esaminati hanno dato risultati positivi; nel 1993 anche The New England Journal of Medicine si accorge dell’Omeopatia: pubblica i dati di una inchiesta secondo cui negli USA, nel 1990, più del 30% della popolazione ha utilizzato ‘cure alternative’ per seri problemi medici; nel maggio del 1994 la rivista Pediatrics comunica i risultati di uno studio clinico controllato in doppio cieco contro placebo sul trattamento omeopatico della diarrea acuta nei bambini. Questo studio, fra l’altro, rappresenta una mirabile sintesi tra necessità di controllo nei trials clinici omeopatici e rispetto dei principi dell’Omeopatia: furono infatti testati non già un unico rimedio per tutti i bambini, ma 5 differenti rimedi omeopatici a seconda delle caratteristiche dei soggetti testati (caratteristiche mentali e generali) e dei tipi di diarrea.
Fra i tanti, riportiamo qui solo alcuni dei più significativi e prestigiosi lavori:
Nel 1988 il gruppo del Prof. Maiwald della Clinica Medica dell’Università di Wurzburg pubblica i risultati di uno studio clinico controllato, monocieco, randomizzato, sull’efficacia del preparato Aconitum Heel vs ASA nel trattamento della sindrome influenzale. Il confronto fra le variazione dello stato clinico e dei disturbi soggettivi al 4° e al 10° giorno mostra una maggiore percentuale di successo terapeutico nel gruppo trattato con Aconitum Heel.
Nel 1989 presso il Centro di Terapia Fisica dell’Università di Homburg viene compiuto su 73 pazienti uno studio in doppio cieco contro placebo sull’efficacia di Arnica Compositum Heel pomata nel trattamento delle distorsioni dell’articolazione dell’astragalo: la valutazione dei due parametri considerati, dolore e angolo di flesso-estensione, attestano una netta differenza fra i due gruppi, verum e placebo favore di Arnica Comp. Heel.
Sempre in quegli anni, e sempre su Arnica Compositum Heel, viene compiuta in Germania una disamina statistica sull’efficacia del farmaco, condotta su 3.651.710 casi di medicina umana (!!!) e su 124.272 casi di medicina veterinaria: il 94,3% dei 3.030 medici intervistati definì indispensabile il farmaco.
Fra il 1996 e il 1999 in Italia, presso l’Università degli Studi di Pavia e presso gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano, vengono compiuti degli straordinari e modernissimi studi, in vitro e in vivo, sull’efficacia del farmaco omotossicologico Zeel nei casi di artrosi. I risultati ci fanno comprendere moltissimo sul meccanismo di induzione enzimatica che presiede al processo di ristrutturazione istologica della cartilagine artrosica, alla base del meccanismo d’azione del farmaco Zeel.
Infine, nel 1999 la Rivista Archives of Otorinolaringology – Head and neck surgery (pubblicazione dell’American mEdical Association) presenta i risultati di un trial clinico controllato in doppio cieco sull’efficacia del farmaco Cocculus Heel vs Betaistina nel trattamento della sindrome vertiginosa.
Il confronto fra i due gruppi trattati mostrò una maggiore, seppur minima, efficacia terapeutica del farmaco Cocculus Heel.
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Alcuni lavori di vasto respiro aventi lo scopo di valutare l’enorme mole di letteratura esistente nel campo della Omeopatia sono già stati effettuati, soprattutto nell’ultimo decennio.
Si sono occupati della problematica omeopatica anche Enti, Istituti ed Organizzazioni di grande prestigio ed importanza internazionali.
Tutti hanno concluso che l’Omeopatia ha efficacia terapeutica.
Forniamo, in estrema sintesi, le caratteristiche di questi lavori.
1-Nel 1991, in Olanda, J. Kleijnen e Coll. hanno valutato 107 ricerche cliniche in omeopatia sulla base di alcuni criteri di valutazione usati anche dalla medicina clinico-sperimentale allopatica (Kleijnen J. et Al. – Clinical trials in homeopathy.British Medical Journal, 1991; 302:316-323). Ne hanno selezionate 22 giudicate di buona qualità (elevato numero di pazienti inclusi, tipo di randomizzazione, descrizione dei pazienti e metodi, doppio cieco e parametri dichiarati di valutazione dei risultati). Di queste 22, 15 hanno evidenziato l’efficacia terapeutica del farmaco omeopatico contro pazienti non trattati o trattati con placebo. La metanalisi di Kleijnen è, quindi, stata formulata prevalentemente su studi osservazionali. Globalmente, i lavori raccolti da Kleijnen e Coll. hanno fornito risultato positivo 81 volte su 107 (76%).
2-Nel 1992, il Congresso degli Stati Uniti, considerata l’imponente e progressiva diffusione delle medicine non convenzionali (fra le quali spicca l’Omeopatia perquantità e qualità della ricerca di base e clinica controllata) e l’aumento d’interesse del pubblico e dei media, istituisce l’Office of Complementary Alternative Medicine, diventato successivamente NICAM (National Institute of Complementary Alternative Medicine) all’interno del National Institute of Healthcon budget annuo di 100 milioni di USD = 113 milioni di €) con la funzione di indicare le linee guida per la ricerca sulla validazione delle Medicine Complementari, per la formulazione di protocolli sperimentali e per l’assegnazione di fondi per le ricerche di qualità.
3-Nel maggio 1997 è stato pubblicato il rapporto “Overview of data from homeopathic medicine trials” (Disamina dei dati da sperimentazioni cliniche in medicina omeopatica) firmato dagli esperti (clinici, farmacologi universitari e alcuni ricercatori in campo omeopatico) della Commissione istituita dalla Comunità Europea (Homeopathic Medicine Research Group. Advisory Group 1). Gli esperti hanno evidenziato 377 lavori clinici, ne hanno selezionati 220 e ne hanno recensiti 184. Sui lavori migliori è stata effettuata una ricerca accurata, durata numerosi mesi, al fine di valutarne la validità scientifica. Le conclusioni a cui è giunta la Commissione sono inequivocabili: il numero dei risultati significativi non può essere imputato al caso, l’analisi ha fornito un valore di ipotesi di casualità p < 0,001. In definitiva la Commissione di esperti si mantiene molto cauta ma esplicitamente afferma: “L’ipotesi nulla che l’omeopatia non abbia alcun effetto può essere rigettata con certezza, cioè che in almeno uno dei lavori considerati i pazienti trattati con rimedio omeopatico hanno avuto dei benefici rispetto ai pazienti di controllo che hanno ricevuto il placebo”.
4-Nel 1997, K. Linde e Coll. (Università di Monaco) hanno pubblicato sulla prestigiosarivista Lancet i risultati di una metanalisi su ben 135 trials clinici basati sul confronto di farmaci omeopatici versus placebo (Linde K. et Al. – Are the clinical effects of homeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials. Lancet 1997; 350:834-843). Gli Autori concludono che “I risultati di questa meta-analisi non sono compatibili con l’ipotesi che gli effetti clinici dell’omeopatia siano completamente dovuti all’effetto placebo. Sempre Linde, nel 1994, aveva già pubblicato i risultati positivi relativi a studi di ricerca di base condotti con farmaci omeopatici (Linde K. et Al. – Critical review and meta-analysis of serially agitated diluitions in experimental toxicology – Human Exp. Toxicol., 1994, 13:481-492).
5-Nel 1998, E. Ernst e E.G. Hahn forniscono una descrizione molto aggiornata dello stato dell’arte in omeopatia con conclusioni simili a quelle a cui è giunto Linde nella sua metanalisi del 1997. (Ernst E., Hahn E.G. – Homeopathy: a clinical appraisal. Oxford – Butterworth. Heinman, 1998).
6-Nel 1998, P. Bellavite, Professore associato di Patologia Generale presso l’Università di Verona, pubblica una minuziosa rassegna che raccoglie, classifica ed analizza la gran parte della Letteratura scientifica disponibile che documenta l’effetto dei rimedi omeopatici in studi clinici, nonché i lavori svolti nel campo della ricerca di base. Per quanto riguarda i lavori di ricerca clinica, Bellavite riporta gli studi più significativi e metodologicamente attendibili giungendo alla conclusione che “l’opinione comune che non esistono prove scientifiche dellxefficacia clinica della omeopatia va quindi confutata” . Per quanto riguarda la ricerca di base, viene messo in evidenza che anche questo filone è in attivo sviluppo ed esistono lavori di buona qualità, in vitro e in vivo, pubblicati su riviste riconosciute in campo internazionale, attestanti l’efficacia dell’omeopatia.
7-Un’ultima metanalisi del 2000, su 24 studi relativi a sperimentazioni cliniche controllate e randomizzate ha concluso che “sono state provate evidenze che la terapia omeopatica è più efficace del placebo” (M. Cucherat et Al. – Evidence of clinical efficacy of homeopathy. A meta-analysis of clinical trials. Eur. J. Clin. Pharmacol., 2000; 56:27-33).
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POSSIBILI INTEGRAZIONI CON MEDICINA UFFICIALE
E’ possibile ogni sorta di integrazione con i farmaci della medicina ufficiale, utilizzando l’omotossicologia come ‘una carta in più’ nel bagaglio del terapeuta, e non in senso antitetico alla terapia allopatica.
ASPETTI ECONOMICI
Nel Settembre 1999 l’Istituto Doxa pubblica i dati dell’indagine condotta sui consumatori di rimedi omeopatici; ne è risultato che nel 16,5% delle famiglie italiane uno o più componenti fa costante ricorso a cure omeopatiche, ciò significa che circa 6 milioni di italiani si curano con l’Omeopatia. Rispetto ai risultati emersi dall’analoga ricerca condotta nel 1993 il numero di consumatori è notevolmente aumentato, e delle nazioni europee l’Italia ha il più alto trend di crescita percentuale.
Dal punto di vista socio-sanitario l’omotossicologia offre i seguenti vantiggi:
Costo generalmente inferiore rispetto al corrispondente medicinale allopatico
Non presenta di norma effetti collaterali
L’innocuità del rimedio evita la costruzione di complessi apparati di controllo
La semplicità di costruzione del farmaco omeopatico non crea alcun tipo di impatto ambientale
La non brevettabilità del farmaco non costringe le aziende a svolgere ricerche segretissime e costosissime per arrivare per prime alla realizzazione di nuovi prodotti
PERCORSI FORMATIVI
L’ A.I.O.T. (Associazione Medica Italiana di Omotossicologia) fondata nel 1983 è attualmente l’Associazione Medica più importante a livello nazionale nel campo della Medicina Omeopatica.
BIBLIOGRAFIA
H.H. Reckeweg: xOmotossicologia, prospettiva per una sintesi della medicinax – GUNA Editore, 1988
I. Bianchi: ‘Argomenti di Omotossicologia’ – GUNA Editore, 1990
V. Masci: ‘Omeopatia, tradizione e attualità’ – Tecniche Nuove, 1995
P. Bellavite, A. Signorini: ‘Fondamenti teorici e sperimentali della medicina omeopatica’ – IPSA Editore, 1992
B. Fornasaro: ‘Leader for Chemist’ n° 6 – 1995